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Cerimoniale - mostra a cura di Intragallery (Napoli) 

testo di Eugenio Giliberti

Spesso, parlando della vita culturale dell’isola con amici o con frequentatori innamorati di Capri, sento come il continuo riaprirsi di una ferita. La ferita di chi vede nel turismo di cui vive l’sola una specie di macchia originale. Una cappa di volgarità dalla quale cercare di far riemergere una “storia culturale” negata.

Ho avuto occasione diverse volte di esporre  miei lavori nell’isola. La prima volta ad Anacapri - era il 1983 - in uno stage organizzato da Gianni Pisani dove ebbi il mio primo confronto con altri artisti della mia generazione da cui poi scaturì l’idea di riunire un certo gruppo di giovani e giovanissimi nella mostra che prese il nome di Evacuare Napoli (1985); poi, nel 1987, nel cantiere dell’ex Hotel Internazionale situato nei giardini della Flora Caprense in una collettiva curata da Bruno Corà, “Avvistamenti, 4 indirizzi della giovane ricerca artistica”. L’ultima volta nel 2008 ma fu un infortunio…

Avevo pensato di non volerne più sapere. Capri è ciò che è e non ha bisogno di niente. E tutti i discorsi nostalgici sul passato colto, sulle grandi frequentazioni intellettuali non appartengono più a un presente ineluttabilmente frivolo.

Il Museo Cerio è il luogo che non ti aspetti, che esiste e non ti chiede l’esercizio del rimpianto.

 Un luogo anti nostalgico che ti racconta una visione diversa dell’isola, dà conto di una complessità solo apparentemente negata.

Il lascito di Ignazio ed Edwin Cerio e l’azione dei continuatori di questa singolare istituzione culturale testimonia, al di là del tempo, di un’intensità possibile nella ricerca del perché dello stare al mondo. Anzi, dell’affermazione che lo stare al mondo è uno stato interrogativo.

Una musica flebile emana dalle mura e dalle bacheche del museo Cerio. La musica di un atto di affetto costruito in più generazioni cui già dai racconti ho sentito una possibile affinità.

 “Cerimoniale” allude al riconoscimento e all’incontro della sensibilità dello scienziato (Ignazio, Edwin) con la mia pratica artistica. Esso avviene in una sala decorata da una grande installazione composta da migliaia di dischetti imperfetti di legno di melo, testimoni della ricerca che conduco da anni intorno alle trasformazioni naturali e antropiche del territorio che mi accoglie ormai da più di 10 anni.

Il primo atto dell’innamoramento è il desiderio di conoscere tutto dell’oggetto amato. E’ ciò che ha spinto la mia poetica a rompere pretesi confini dell’arte, incamminandola in un’attività di registrazione di piccole variazioni e di indagazione di potenzialità e relazioni, di conoscenza più profonda.

 E’ ciò che spinge in generale la ricerca ad intraprendere il suo faticoso lavoro al di là dei possibili risvolti pratici.

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