Eugenio Giliberti


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Qualche anno fa, a Rotondi, in Valle Caudina, Giliberti rientra in possesso di una masseria di famiglia e vi installa il suo nuovo studio. Passeggia nei boschi intorno alla Madonna della Stella, discute con gli industriali boschivi in crisi di identità, con appassionati frequentatori della montagna, con amici che lo vanno a trovare, con altri proprietari. Prende coscienza delle problematiche complesse del bosco, si rende conto che nella sua natura antropica si deve cercare la soluzione ai problemi che lo affliggono: l’abbandono, l’incuria, l’incendio.  Così, con la vicinanza di settori della ricerca universitaria ed il sostegno attivo di diversi amici, nasce Selve del Balzo, un progetto teso a ridare centralità al bosco, valorizzandone il suo prodotto prevalente, il legno di castagno, che la mancanza di industrializzazione ha relegato, a dispetto delle sue grandi qualità come legno da costruzione, ad usi marginali, privi ormai di rilevanza economica. Privi cioè del minimo potenziale necessario per affrontare i costi delle operazioni di manutenzione della foresta, la cui rinuncia costituisce una delle principali cause del dissesto idrogeologico.

Con  la naturale vocazione al rapporto con l’arte, nei suoi capannoni di legno, la piccola falegnameria rurale di SdB produce tavole per parquet e altri prodotti semilavorati, studia soluzioni per il miglioramento delle colture arboree non solo montane, agisce in sinergia con aziende e con artigiani locali per creare un sistema culturale ed  economico nuovo intorno al ciclo del legno.

Se vi trovate in valle Caudina e vi capita di deviare dalla strada statale Appia in direzione Rotondi, avete buone possibilità di imbattervi nei fabbricati che sono il centro di questa storia. Sareste in via Varco, e il fabbricato che vedreste sulla sinistra è una piccola costruzione rurale. Quasi un rudere, direste, in tufo, con vecchie porte cadenti in legno di castagno.  E’ la masseria Varco, da qualche anno centro nevralgico del nuovo progetto artistico (e imprenditoriale) di Eugenio Giliberti.

Negli anni novanta, tra una mostra e l’altra, sempre in viaggio “come un artista a un certo punto della sua carriera deve fare”, Giliberti si occupa della gestione delle proprietà di famiglia, in particolare delle selve che circondano il santuario dedicato alla Madonna della Stella, nel territorio di Rotondi.

Passeggiare nelle selve di castagno gli serve a capire molte cose del territorio. E di sé.

Il laboratorio in costruzione di Selve del Balzo, 2007
   

 

Capisce, per esempio, che il degrado che le affligge si deve affrontare a partire dalla loro natura antropica; che la perdita di valore economico dei prodotti tradizionali del bosco che trascina l’industria boschiva in una crisi economica e di identità inarrestabile condanna il bosco stesso a un destino di abbandono e degrado; che bisogna fare qualcosa per cambiare la situazione; che intorno a questo impegno si svolgerà una nuova fase del suo lavoro di artista.

Decide di trasferire il suo studio nella vecchia casa colonica della masseria Varco e intraprende una nuova vita. Una vita antica, potremmo dire, una vita quasi da barbone, direbbe lui, per l’assenza di confort della piccola casa colonica. Prepara, nella stalla che ancora risente della presenza delle vacche dell’ex colono, oggi collaboratore - consigliere, la sua mostra personale alla galleria Milano (siamo nel 2006) mentre nel campo, dall’altra parte della strada si innalzano i piloni dei capannoni in legno che racchiuderanno un nuovo originale progetto: un progetto naturalistico, antropologico, economico e artistico: Selve del Balzo.

Dal 2007, grazie a un piccolo gruppo di amici che affianca con generosità ed energia il cammino dell’artista, nei capannoni di Selve del Balzo il legname proveniente dalle selve montane e dall’agricoltura si trasforma  in parquet e tavolami pregiati per l’edilizia mentre, nella vecchia casa colonica, che Giliberti trasforma giorno per giorno adattandola alle sue esigenze vitali e di lavoro, l’artista lavora alle sue nuove mostre e alle sue nuove opere che accolgono decisamente, nei materiali e nei contenuti concettuali la nuova esperienza di vita.

Così in Working Class, sua prima mostra personale nella galleria Guidi di Roma ( 2008)[1], compaiono materiali nuovi, listelli di pioppo e di castagno utilizzati insieme alla cera d’api pigmentata che da sempre l’artista adopera nelle sue pitture, brevi racconti di vita degli operai di Selve del Balzo sono protagonisti di una video installazione.

Il critico d’arte, Bruno Corà, già direttore del Museo Pecci di Prato, del Camec di La Spezia e del sistema museale del Canton Ticino, nel 2010, in occasione della sua ultima mostra personale, Il senso di Walden” [2]scrive:

.. in tal senso (…) si è voluto, di comune accordo, tirare in ballo il Thoreau[3] del Walden, ovvero la vita nei boschi. Analogamente allo scrittore e filosofo statunitense, Giliberti, infatti, ha avviato un’esperienza di riflessione sul rapporto con la natura e il territorio silvano, in un luogo aspro e suggestivo dell’Italia meridionale, carico di risvolti non solo produttivo-ecologici (…) dall’avventura ormai avviata attorno alla masseria Varco di Rotondi, che lo impegna in una contiguità impensata con uomini e luoghi a lui poco noti e di cui alcuni resoconti video, già esibiti nella mostra del 2008 presso la stessa galleria  Guidi, hanno dato ampio conto, che inducono a parlare di una nuova incisiva fase (…) ancorata a una nuova dinamo ideale che garantisce all’opera ulteriori sviluppi.

 

L’esperimento non resta inosservato, molti professionisti, in particolare legati alla ricerca architettonica in ambito universitario affiancano Selve del Balzo interessati al suo approccio complessivo e al suo porsi al limite di diversi territori. Così, lo scorso settembre in un workshop dell’IN/ARCH, l’Istituto Nazionale di Architettura, fondato da Bruno Zevi, tenuto dall’architetto Paolo Cascone  in collaborazione della CMKM – architetti associati presso la Casa dell’Architettura di Roma è stata eretta una grid shell [4]struttura in legno di castagno realizzata con il lavoro e con il legno di Selve del Balzo.

 

 

Lo sguardo al territorio circostante non si ferma al bosco. La piccola falegnameria industriale di Selve del Balzo si trova in un meleto che diventa anch’esso oggetto della sperimentazione sia colturale che artistica di Giliberti: Nelle ultimissime opere piccoli dischi di legno di melo, ricavati dalle operazioni di potatura, sono disposti in ordine geometrico in grandi “teche” di vetro e legno di pioppo e mele annurche della masseria Varco, vere, piccole e bruttine sono l’oggetto di ripetute performance dell’artista, gesti semplici e quasi sacrali, sbucciare, tagliare, offrire al pubblico.

 

Di nuovo dallo scritto di Bruno Corà per la mostra “Il senso di Wolden”:

cosa prova chi si reca in visita alla masseria Varco di Rotondi e osserva l’alchemico traffico che in essa si svolge? La qualità germinale sotto vari aspetti e gradi è una delle sensazioni più immediate e diffuse unita al sentimento di un vivere proto-urbano. Qualcuno potrebbe chiamarla ‘vita agra’, in opposizione a ogni forma di agio. Ma quegli aspetti che apparentemente sembrano denotare solo una condizione di disagio, col trascorrere delle ore o dei giorni si comprende che rivelano invece una più segreta qualità e perfino un gradevole sentimento di forza e affrancamento da molte necessità o pseudo bisogni indotti dai ritmi di vita consumistici. Quella di Giliberti e dei suoi compagni di avventura si rivela come un’esperienza che ‘forgia al di fuori della protezione’ (Rilke). Egli sembra in tal modo avere individuato una scelta qualificante per la maturazione del proprio linguaggio come della sua stessa attitudine all’arte. Reimmergersi criticamente nella natura, nel rischio vitale, nell’inedito, sinonimo d’invenzione e creazione, di vita nuova e di rinnovamento della propria arte.



[1] Mostra curata da Aldo Iori

[2] “Il senso di Walden”, mostra personale di Eugenio Giliberti presso la Galleria Giacomo Guidi, Roma, 2010, a cura di Bruno Corà

[3] filosofo trascendentalista americano del XIX secolo, considerato uno dei padri del pensiero democratico americano

[4] In inglese griglia conchiglia, struttura per la costruzione di edifici e tettoie costruita con assi di legno forate tenute da semplici nodi metallici