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L’arte della
matematica
La matematica non è altro che un’arte; una sorta di scultura in una materia
estremamente dura e resistente (come certi porfidi che a volte usano, credo, gli
scultori)
André Weil, Lettera alla sorella Simone, Rouen, 1940[i]
Per l’opera di Eugenio Giliberti il paradosso di André Weil è
forse vero al contrario: è il modello, matematico o teorico che sia, la prima
sbozzatura della materia poetica della sua riflessione; in questa mostra il tema
– la “materia poetica” - è univoco ed è il ‘progetto di artista abitante’, che
avrà come esito una installazione site-specific sulla facciata del palazzo di
via Santa Teresa dove Leopardi visse gli anni napoletani e, per pura casualità,
è l’edificio su cui affaccia l’abitazione di Giliberti.
Quattro tele costituiscono il nucleo centrale della mostra
indici.casa.volo alla Intragallery di Napoli: le sequenze di
quadratini colorati dipinti rigorosamente ‘a mano’ con la tecnica dell’encausto,
pigmenti di colore emulsionati con cera naturale, si dispongono secondo una
logica combinatoria, frutto di una opzione stabilita a priori. I colori scelti
corrispondono infatti ai numeri degli Indici di Giacomo Leopardi, vergati dal poeta e oggi conservati alla
Biblioteca nazionale di Napoli per offrire una traccia di lettura secondo gli
argomenti del suo Zibaldone. Le
scritte sulle
tele, teorica delle arti,
lettere, ec, trattato delle passioni, della natura degli uomini e delle cose,
memorie della mia vita ricalcano le
sezioni degli indici e alludono ai contenuti dell’opera, ma l’andamento dei
quadrati colorati procede invece secondo la successione astrattamente
prestabilita, spostando l’attenzione, anzi costringendo a focalizzare
l’attenzione non tanto sulla natura simbolica del procedimento quanto invece
sulla libera casualità delle alternanze dei colori, delle dimensioni dei singoli
moduli, del loro disporsi sulla superficie. E così, come nella sua lettera al
padre Leopardi ne impetrava la clemenza per la sua ‘strana immaginazione’,
l’immaginazione di Eugenio Giliberti ci porta senza mediazione nel suo universo
creativo, la cui chiave interpretativa è il metodo e la pratica del suo fare di
uomo e artista a tutto tondo, di stampo rinascimentale, in cui le discipline
diverse si fondono nel raggiungimento dello scopo etico ed espressivo.
Se le tele con i quadratini dipinti sono una
costante nell’opera dell’artista - in
quanto precipitato ‘estetico’ dei suoi meccanismi inventivi - affascinante e
produttivamente differente ne è qui la resa formale con l’effetto di un
decorativismo in cui la nozione perde ogni connotato di vacua superfluità per
attingere a una definizione autenticamente significativa: la bellezza e la forza
di una sintassi tutt’altro che puramente astratta ma stringente nella sua
‘logica’.
Struggente poi, nella sua libertà e poeticità, la serie dei
disegni su carta sempre dedicati al ‘progetto’ da cui sarà tratta anche una
cartella di stampe: in esse l’artista dispiega la sua versatile abilità di
disegnatore, pittore e in questo caso
fine ricercatore, indicando nelle diverse tavole un percorso che va dalla
memoria storica della radicale trasformazione urbanistica dell’area, con la
costruzione del ponte della Sanità nel primo decennio dell’Ottocento, alla
poetica dell’idea sottesa al suo intervento.
E infine, ancora una volta, ripercorrendo il cerchio di
passato e presente, altra costante dell’arte di Giliberti, attraverso una
animazione tridimensionale ancora di matrice meccanica, una piccola scultura che
rappresenta un ‘omino giallo’ spiccherà il volo riconducendoci ad una delle più
famose Operette morali di Leopardi ma
riportandoci anche, a ritroso, a medesimi espedienti visivi che hanno ispirato
il nostro ‘artista abitante’. Confermando, se ce ne fosse bisogno, la sua
attitudine a tener fede a temporalità diverse, quella della lavorazione e quella
della rappresentazione, consentendoci con elegante sottigliezza di pensare a un
altro spazio, a un altro tempo, a un altro luogo.